Analizzare la seconda Lettera ai Corinti è un’impresa non comune, non tanto per i contenuti etici, i quali implicano in ogni caso riflessioni molto attente, quanto per gli episodi di vita dell’apostolo, che costellano l’ efficacia missionaria durante gli itinerari, che si è proposto di fare. Lo trovi a Efeso? Bene, lì ha eletto domicilio nel tempo di forse di tre lunghi anni. In realtà lo ritrovi all’improvviso a Corinto, in una parentesi lunga tre mesi, poi chi sa dove, forse di ritorno a Efeso. Inoltre, dato il grave stato d’incertezza,  d’insofferenza e d’inquietudine dei cristiani di Corinto, si è recato da Efeso a Troade, ma neanche lì trova pace per non aver potuto incontrare Tito. Non trovandolo, si trasferisce in Macedonia, forse a Filippi. Da dove invita i Corinti, a organizzare una raccolta di denaro per i fratelli in crisi a causa di una lunga carestia in tutta la Palestina.
Durante l’analisi del testo ci si trova di fronte a un groviglio da dipanare, perché così come ci è pervenuto, propone una vera e propria serie di episodi accennati, poi smorzati. È la più enigmatica fra le sue lettere e anche una delle più suadenti sotto il profilo morale, tanto da mettere in dubbio le certezze anche di chi non ha intenzione di credere.
Si ravvisa tuttavia nel testo qualche sprazzo di luce, che accompagna il suo cammino, tanto da proporre possibili ipotesi di come si siano evoluti i fatti. Che cosa di tanto grave è accaduto nella comunità cristiana di Corinto? Il primo degli indizi si riscontra puntualmente nel versetto 1,8, in cui Paolo scrive: “Fratelli, non vogliamo che ignoriate come la sofferenza, che ci ha colpito mentre eravamo in Asia, ci ha posto in grave difficoltà, a rischio anche della nostra vita”. La minaccia di morte che pende sulle spalle dell’apostolo è confermata in 1, 9: “Abbiamo ricevuto anche minacce di morte”.
D’istinto, si potrebbe collegare il contenuto dei due versetti precedenti alla rivolta degli argentieri in cui egli fu coinvolto in prima persona, perltro minacciato di morte.
Il secondo indizio, riportato in 1,23: “Io chiamo Dio a testimone della mia vita e solo per usarvi indulgenza che non sono più venuto a Corinto”, smentisce l’ipotesi appena avanzata.  Si ravvisa il terzo indizio in 2,5-8 in cui è scritto:“5Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma in parte, senza voler esagerare, anche tutti voi. 6 Per quel tale inoltre è già sufficiente il castigo, venuto dai più fra voi, 7e per questo lo dovreste perdonare e confortare, affinché egli non sia sopraffatto da un dolore sempre maggiore. 8Vi esorto perciò a far prevalere verso di lui la carità”. Paolo, su quest’argomento, non si è espresso con molta chiarezza, forse ha usato una perifrasi per carità cristiana, tuttavia le minacce, i malumori, le possibili sedizioni, quelle più importanti, e non di ordine pratico, sono attribuite alla comunità di Corinto lo hanno rattristato, toccandolo nel profondo del cuore.
Infatti scrive una lettera fra molte lacrime, anch’essa andata perduta, a causa di afflizione e angoscia, non tanto per le offese rivolte a lui o a un suo collaboratore, e alle minacce di morte delle quali si è assuefatto, quanto perché la sua prima lettera, diretta alla comunità di Corinto, è stata accolta molto tiepidamente.
I tre indizi, in ogni caso, sono più che sufficienti a proporre, quasi con certezza, una possibile verità dei fatti. La comunità cristiana di Corinto, lui assente, ha levato gli scudi.
Già da subito, egli accenna alla sua tribolazione e insiste sulla consolazione verso coloro che soffrono, nonché sulla sofferenza che ha pervaso il suo animo per la delusione riguardo al comportamento di quella comunità.
Egli nonostante tutto conta sulle preghiere dei santi di Corinto e dell’Acaia, per essersi comportato con la stessa generosità e chiarezza  e non con la sapienza umana, dove per essa intende combattere movimenti filosofici emergenti.
Paolo  sarebbe voluto andare di nuovo a Corinto per rimuovere le cause delle discordie fra gli stessi cristiani, ma vi ha rinunciato, scegliendo di recarsi in Macedonia. L’offesa del tale, inglobata nella corrente oltranzista dei suoi avversari di estrazione giudaica, forse si è ingigantita lui presente nella città durante la breve visita, quella dei tre mesi. Egli accetta di trattare l’argomento degli avversari, sviluppato dal secondo capitolo, versetto 14 fino alla fine del settimo capitolo, per poi riprenderlo dal decimo capitolo fino alla fine della lettera.