Un breve cenno storico, applicato all’ evolversi dei territori nell’ Altipiano dell’Asia Minore è risolutivo per poter comprendere a quali Galati Paolo avesse inteso  inviare la Lettera. Nel III secolo a.C. e più precisamente negli anni 278/277 prese corpo una grande migrazione  ad opera dei Galli verso l’Asia Minore. Essi, i Galli, invasero il montuoso altipiano centrale della regione, e punto di aggregazione   importante e  di riferimento per essi fu Ancira. Da qui  la denominazione di Galazia [Γαλατικὴ χωρά, regione Galatica], parte centro-settentrionale dell’Asia Minore.
L’espansione romana, estendendo la propria influenza nei territori, impose l’unificazione della Regione Galatica, quella del Nord, per ragioni di carattere amministrativo con le altre del sud quando nel 25 a.C.  morì il re Aminta. La Grande Galazia perciò fu possibile con l’annessione della Pisidia,  della Licaonia e della Frigia.

Paolo e Barnaba diffusero il Vangelo durante il primo viaggio missionario, avvenuto fra il 46 e il 49 d.C. nelle regioni appena menzionate, e che erano diventate parte della Grande Galazia, provincia romana. Se l’intenzione di Paolo fosse stata quella d’inviare il messaggio  alle popolazioni della Grande Galazia, cioè a coloro che incontrò nel suo primo viaggio, allora la lettera, secondo alcuni studiosi sarebbe stata scritta  intorno all’anno 50, perciò costituirebbe il primo documento in forma scritta della cristianità   in nostre mani.

Nell’  ipotesi invece che la lettera fosse stata inviata ai Galati del regno di Aminta,  si dovrà collocare lo scritto fra il 55 e il 58 d. C. perché  Paolo fece visita a quelle popolazioni durante il suo secondo viaggio e parte nel terzo. E questa ipotesi, la più plausibile,  non è marginale neanche e soprattutto per ragioni teologiche. Inoltre l’analisi del secondo capitolo della Lettera in esame avvalora questa congettura.  In quegli anni si erano verificati tanti eventi, e da non sottovalutare il Concilio di Gerusalemme.

Non appena furono arrivati ad Antiochia di Siria, là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l’impresa che avevano compiuto, riunirono la comunità e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede[1].

Il metodo, la prassi, la procedura erano stati rispettati nei confronti delle comunità che Paolo e Barnaba avevano visitato? Si riscontra la prima reazione in Atti 15.1 in cui si legge:”Ora alcuni venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosé, non potete essere salvati”.

Sullo sfondo non è tanto e solo in discussione la circoncisione, quanto tutta la procedura per ammettere i candidati alla Cristianità.  Non si tratta tuttavia di problemi  di natura  ideologica, ma di ragioni teologiche.

A sollevare la disputa sono i giudaizzanti. Essi impongono agli adepti di essere circoncisi e di essere ammaestrati sulla Legge mosaica. La loro idea risiede nel fatto che salvarsi attraverso le opere è l’uomo, mentre per Paolo l’uomo è salvato da Dio. Nel primo caso il soggetto è l’uomo di riflesso a Dio, nel secondo il soggetto è Dio, protagonista primo. L’uomo che ha Fede  è salvato da Dio o meglio Dio salva l’uomo che crede in Lui.

[1] At. 14, 27-28.