Come tutte le cose, se utilizzate con intelligenza e temperanza, sono lì a dare sviluppo, grande sviluppo, alle tue qualità intellettive, cioè al tuo fertile terreno verso l’apprendimento.
Al contrario sono lì ad appiattire il comprendonio, perché questi fantastici congegni, usati a sproposito, rubano la fantasia, l’intelligenza, l’anima ed anche il corpo.
Ma questa è un’altra storia, ambigua, ma per certi versi attinente al “chi siamo”.
La diavoleria principale che mi ha fatto tentare idealmente di scalare l’Everest è il mio notebook, di cui, lo confesso, non posso rinunciare, insieme ad internet, per altre ovvie ragioni.
Dunque il “Chi siamo”, sono io. Ho avuto la spudoratezza di tradurre il N.T. dal greco, lingua originale in cui è stato scritto.
A sessantasei anni, gli inizi, [ora di anni ne sono passati molti], consapevole che conoscenza è un ideale sinonimo di curiosità, mi sono imposto a studiare greco. Oggi alla mia bella età sono qui a dire che, al di là delle prediche domenicali, ho potuto vedere e vivere splendide figure, le stesse che, da duemila anni, tengono sospeso a un filo di speranza il mondo intero.
Senza quelle diavolerie elettroniche e informatiche sarei approdato a poco più di niente, ma la volontà e il desiderio di occupare il tempo in modo utile, è il caso di dirlo, è avvenuto il miracolo.
Perché non avrei dovuto fare esperienza anche con chi siamo? Non mi ritengo un egocentrico. Assolutamente. Nella lunga carrellata della vita, nel tentare un approccio verso la pluralità, ho assaporato, come la gran parte di noi, spesso solo illusioni e disillusioni.
La scelta delle traduzioni? Non è sufficiente leggere un libro, e neanche studiarlo attentamente, per entrare nello spirito di chi scrive e perché scrive. L’esperienza della traduzione mi ha consentito di rafforzare la Fede anche se non sono un buon cristiano, e di dare un verso logico anche a molti ragionamenti più oscuri del pensiero filosofico antico.
Io non sono nessuno, mi piace solo occuparmi di queste cose. Nulla più. Un rimpianto? Il più lancinante è quello di aver attraversato il tempo, il mio tempo e di non averlo speso al meglio, perciò mi rimprovero costantemente, per giorno che passa, verso il tramonto, di essere sempre più ignorante.
Un’aspirazione? Quella che siano in molti a occuparsi di questi fatti insieme a me. Ringrazierò, in ogni caso, il mio ventiquattresimo lettore, se ci sarà, perché il venticinquesimo è occupato da altri.
Franco Tarducci