[Atti, 2,1-13] È una festa ebraica, che cade cinquanta giorni dopo la Pasqua. Il testo più incisivo si trova in Atti, anche se è menzionata in Mt. 10,20 e in Gv. 3,34.
Il tentativo di parafrasare l’evento è il seguente. In quell’occasione gli apostoli si trovarono tutti insieme nello stesso luogo. All’improvviso un fragore dal cielo, portato dal vento impetuoso, squassò la casa dov’erano seduti. Su ciascuna delle loro teste si stabilirono lingue di fuoco. Essi furono pieni di Spirito Santo e il loro carisma, dono soprannaturale, fu che cominciarono a parlare in altre lingue, secondo lo spirito che dava loro di esprimersi. I giudei di Gerusalemme avvertirono quel fragore proveniente dal cielo, e si stupirono perché ciascuno di essi parlava la propria lingua, al punto di chiedersi: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nella quale siamo nati? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi e li sentiamo annunciare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. Il significato di questi fatti divise il popolo, che s’interrogava, meditando, mentre altri dicevano: “Si sono ubriacati di vino novello”.