La nota sulla seconda venuta di Cristo, appena accennata in Ts. 1.1,10, chiude la Prima Lettera ai Tessalonicesi. La parusia e la risurrezione dei morti sono state causa di molta confusione nel pensiero dei fedeli di Tessalonica per tempi e per modi di attuazione. Il significato di “ritorno” si configura per i Cristiani come un “tenersi pronto”, una vigilanza perenne, con la lucerna della fede accesa, operando il bene senza posa, perché il Signore non ha rivelato il giorno della sua nuova comparsa.
L’oggetto della Seconda Lettera, dopo i convenevoli di rito e i ringraziamenti, poggia su una precisa articolazione sec0ndo quanto si legge nella Lettera [2.1-2]: “Ora, fratelli, intendiamo precisare a proposito del ritorno del Signore nostro Gesù Cristo e del nostro incontro con lui, affinché la vostra mente non sia subito turbata e non siate spaventati né da qualche rivelazione profetica, né da parola, né tantomeno da lettera attribuita a noi, come se fosse imminente il giorno del Signore”.
La nuova venuta del Signore Gesù fu predicata anche da pseudoprofeti, i quali tendevano a turbare la mente degli ascoltatori, facendo leva sul sentimento delle folle, per mezzo di parola e presunti messaggi scritti, attribuiti a Paolo stesso.
Alla luce di questi fatti e durante il cammino verso la perfezione nel popolo Macedone si era formata la convinzione che non fosse più necessario lavorare, né occuparsi d’altro poiché i tempi erano prossimi alla parusia.
Paolo riprende invece nell’incipit di questa lettera i contenuti della prima, arrecando tuttavia aggiunte e chiarimenti non di poco conto. Egli si limita ad annunciare gli effetti dell’escatologia per coloro che hanno scelto di non adeguare la loro vita all’etica e la morale cristiana in fieri, servendosi di parole molto dure [Ts. 2.1,9] per chi non accoglie il Vangelo, in confronto a coloro che saranno premiati per la loro persistenza nella fede.