Sappiamo con certezza che sua madre possedeva a Gerusalemme una casa in cui venne a rifugiarsi Pietro, miracolosamente scampato dalla prigione.
Compagno di Paolo in occasione del suo primo grande viaggio apostolico divenne di nuovo suo collaboratore dopo un passeggero litigio. Ma sembra che seguisse con maggiore assiduità l’operato di Pietro, che lo chiama in qualche occasione “suo figlio”, forse per averlo convertito e battezzato.
Marco ha scritto il Vangelo intorno al 62 d.C. È peraltro ritenuto il secondo vangelo, anche se la gran parte degli studiosi ritengono che sia stato scritto prima di quello di Matteo.
Quest’umile libricino non ha niente dell’opera d’arte. Il suo stile non è da attribuirsi a un linguaggio classico di scrittura. Consiste in uno stile usato nell’oralità, ruvido, vivo, familiare, scorretto di un popolano, che coraggiosamente e semplicemente redige quello che ha visto e sentito dire da vero cronista. Sotto questo profilo forse il suo è il più prezioso dei Vangeli. In esso sono stati resi i contenuti nella pienezza di freschezza e spontaneità.
Un lettore attento saprebbe cogliere il sapore di vita, che si sprigiona pagina dopo pagina da questo umile libro. Si può dire che la vita sgorga ovunque, freme, e circola a torrenti. L’autore scrive con un insospettato dono di osservatore che sapeva far rivivere le cose, i fatti e i pensieri che animavano il contesto in cui Gesù predicava la buona novella.
Lo sguardo attento del cronista, che non si scompone neanche davanti ai miracoli ha reso tale per cui. I personaggi hanno un’individualità piena di accenti; sia pur non palesemente espressi, le loro attitudini si propongono in una serie di piccoli quadri di un disegno molto deciso e risplendente di colori. Nonostante la povertà della sintassi, l’evangelista sa trovare le parole espressive che conservano all’immagine la sua originalità. L’impiego quasi costante del presente storico conferisce al racconto stesso un’aria di attualità. Non si ha mai l’impressione del fatto già sentito, e del passato.
Leggendo Marco non si legge una storia. Si assiste a un evento dove le scene anche quelle drammatiche, vita e morte di Giovanni e Crocifissione di Gesù, costituiscono l’epicentro della storia, per intero, della Cristianità.
Si è detto del linguaggio infantile, usato dall’evangelista. È necessario tuttavia fare due precisazioni, la prima che Matteo e Luca in molti passi in cui lo schema sinottico è prevalente, adoperano alla lettera le stesse espressioni usate dal Nostro. La seconda consiste nel fatto che Marco, nel tracciare la storia di Cristo Gesù usa circa mille trecento cinquanta locuzioni, Giovanni novecento venti circa.
Il testo di Marco pervenutoci è il più breve di tutti? Sia pure; Marco tuttavia inizia il racconto dall’inizio della vita pubblica di Gesù, tralasciando la genealogia, la nascita e l’infanzia del Redentore.
Da ultimo non è il caso di sottacere il fatto che il primo Vangelo in forma scritta è il suo, con buona pace dell’etichetta di epitomatore, attribuitagli da Papia, è quello di Marco.